La speculazione controlla il mercato delle materie prime agricole !!!
I derivati hanno volumi molto superiori all’economia reale che rappresentano!!
Quante volte abbiamo sentito questi allarmi, ma è tutto vero?
Il luogo comune che i prezzi delle materie prime siano condizionati dalla speculazione è uno dei più consolidati nei giornali economici, soprattutto dopo il 2007/2008. Questo mantra diventa virale quando i prezzi salgono e raggiungono nuovi record. Nell’immaginario collettivo personaggi alla Gordon Gekko (film “Wall Streat” – 1987 – fig.1) decidono di scommettere sul rialzo del frumento, affamando così le masse dei diseredati dell’ africa. Mi ricordo che nel 2012 alcuni giornali imputarono agli Hedge Funds l’inizio delle “primavere arabe” del Sud Mediterraneo, infatti, secondo loro l’evento scatenante di queste rivoluzioni fu l’aumento del prezzo del pane spinto da quello del frumento, naturalmente sostenuto dalla speculazione.
Tuttavia, negli ultimi 4 anni, secondo questa vulgata, gli speculatori dovrebbero aver svolto un’opera meritoria, quasi da ONG, infatti, in questo periodo le materie prime hanno continuato a scendere, come potete vedere dal grafico del frumento (fig.2). In pratica gli Hedge Funds avrebbero iniziato a scommettere al ribasso, permettendo così ai poveri del mondo di acquistare la farina a prezzi sempre più bassi. In questo post cercherò di dimostrarvi che questi operatori molto raramente sono i veri agenti dei movimenti di rialzo e ribasso.
Altra leggenda metropolitana può essere descritta dalla seguente frase: i derivati hanno raggiunto volumi “n” volte superiori alle materie prime che rappresentano. Chi afferma questo sottintende che la finanza si sta sempre più allontanando dalla realtà, creando castelli di carta.
Magari con i derivati OTC, come gli swap sui tassi del Monte Paschi, potrebbe essere anche vero ma nel settore agricolo questo è molto difficile, vediamo ora il perché.
Per prima cosa, i volumi dei derivati sulle materie prime (di cui sopra) sono la somma di tutte le operazioni di acquisto e vendita effettuate in un determinato periodo, questo numero vuole dire poco o niente perchè molte di queste operazioni si compensano tra loro, alla fine del periodo solo pochi contratti rimangono aperti.
I sistemi di trading automatico, che oggi dominano il mercato, producono notevoli volumi di operazioni, tuttavia, a fine giornata molti di questi sistemi prevedono la chiusura delle posizioni con operazioni di segno contrario.
Semplificando: durante gli orari di maggior attività gli operatori e i loro sistemi si agitano molto ma alla fine producono pochi contratti rispetto ai volumi.
Solo i contratti rimasti aperti, in gergo open interest, influenzano i prezzi al rialzo o al ribasso nel medio termine.
Per darvi un’idea del valore dei contratti aperti in un determinato momento prendiamo ad esempio i contratti del mais (corn future) aperti al 19 settembre 17. Sulla Borsa di Chicago erano circa 1,395 milioni, questo vuol dire che gli operatori si sono impegnati a ricevere e a consegnare, in linea teorica, circa 177 milioni di tons nei prossimi 12 mesi o poco più.
Il report USDA di settembre, ( clicca per leggere il mio post) stima il raccolto appena iniziato pari 1.032 milioni di tonnellate per il mondo nel suo complesso e circa 360 milioni per i soli Stati Uniti.
Vuol dire che in questo periodo il mercato dei futures di Chicago rappresenta circa il 17% della produzione mondiale e il 49% della produzione statunitense.
Queste non mi sembrano percentuali allarmanti, verrebbe da dire che il mercato dei futures ha ancora ampi spazi di crescita, almeno per il mais.
Ora che abbiamo appurato che nel settore agricolo i futures non rappresentano quantità superiori a quelle oggetto di transazioni commerciali reali, rimane aperta la questione del condizionamento del mercato da parte della speculazione.
Per capire il peso della speculazione su un determinato mercato possiamo basarci sui Commitment of Trader, in gergo COT, che tutte le settimane sono rilasciati dalla US Commodities Futures Trading Commision, un ente federale statunitense.
In pratica come potete vedere dalla figura 4 si tratta di un simil tabulato prodotto da una stampante ad aghi, ora in pdf, che conta i contratti aperti dai diversi gruppi di operatori.
Per semplificare, i principali gruppi di operatori sono 3: il primo è quello dei COMMERCIAL che rappresenta le operazioni al rialzo o al ribasso aperte da agricoltori, commercianti, swap dealer e consumatori come gli allevatori; il secondo è quello dei MANAGED MONEY, che fino al 2007 era chiamato speculator, rappresenta Banche d’affari e Hedge Fund; il terzo chiamato OTHER REPORTABLE rappresenta finanziarie e piccoli operatori che fanno attività di trading.
Ogni contratto comprende due obblighi e due operatori distinti, il primo è quello di consegnare la merce mentre il secondo è quello di ritirarla, quindi ogni contratto vede due posizioni una rialzista, quella di chi compra e spera che il prezzo salga, l’altra ribassista di chi vende che spera che il prezzo scenda.
Quindi le posizioni aperte sono il doppio dei contratti aperti: al 19 settembre 17 c’erano circa 1,395 milioni di posizioni rialziste e 1,395 milioni di posizioni ribassiste.
Per comprendere il funzionamento di questo mercato dobbiamo ricordare che stiamo parlando di acquisti e vendite a termine, cioè per consegna tra 1 , 3, 6, 12 mesi e più. Se il prezzo è basso un agricoltore non venderà perché ha sempre la speranza che possa salire, se il prezzo è alto un allevatore non comprerà perché ha sempre la speranza che possa scendere. Quindi in un mercato di soli operatori commerciali sarebbe difficile l’incontro della domanda e dell’offerta.
Per questa ragione entra in gioco la speculazione, grande o piccola che sia, essa si offre come controparte sia al venditore sia al compratore; quando il prezzo sarà alto per l’allevatore comprerà il mais venduto dall’agricoltore, quando il prezzo sarà basso per l’agricoltore venderà il mais all’allevatore.
Chiaramente la speculazione non è un’opera pia, se acquista cercherà per quanto possibile di non far scendere prezzo, se venderà cercherà di non farlo salire.
La speculazione non scommette su un’idea di rialzo o di ribasso, accompagna prevalentemente le richieste di controparte espresse dal mercato in via maggioritaria: se ci sono un numero considerevole di venditori compra, viceversa in caso di compratori.
Questo comportamento in molti casi fa si che le vendite prima del raccolto, da parte degli agricoltori, portino il prezzo al rialzo, mentre gli acquisti a termine, da parte degli allevatori, portino il prezzo al ribasso.
Un mercato equilibrato vede il 50% delle posizioni aperte in mano ai commercial e l’altro 50% in mano alla speculazione, infatti come abbiamo visto, questa cerca di assecondare le richieste di vendita o acquisto dell’altra parte.
Vediamo ora alcuni esempi, prendiamo sempre il mais, il grafico del figura 5 mostra con la linea rossa la percentuale del mercato in mano agli operatori commerciali, dal 2010 a oggi questa percentuale ha avuto massimi intorno al 56% e minimi intorno al 40%. La linea blu rappresenta l’andamento del prezzo. Risulta interessante notare come tra il 2010 e il 2012, quando i prezzi rimasero tra 600 e 850 (cents di dollaro per buschel), prezzi elevati, la partecipazione dei commercial era tra il 50 e il 56%, quindi maggioritaria. Nel periodo successivo, dal 2013 ad oggi il prezzo è prima sceso e poi si è stabilizzato tra 320 e 420, prezzi bassi, contemporaneamente i commercial hanno diminuito la loro presenza diventando minoritaria.
Da questo esempio potremmo assumere che l’aumento dei prezzi è correlato all’aumento della partecipazione degli operatori commerciali, viceversa, un calo dei prezzi è accompagnato dalla riduzione della presenza di questi operatori.
Ad ulteriore riprova potete notare nello stesso grafico come i brevi aumenti di prezzo avvenuti negli ultimi 4 anni siano stati accompagnati da una maggior presenza dei Commercial.
Ma questa operatività è riscontrabile anche in altre materie prime?
Nella figura 6 potete vedere lo stesso tipo di grafico applicato alla soia, anche quì la partecipazione dei commercial è variata tra il 58% e il 41%. Diversamente dal mais la partecipazione è stata quasi sempre superiore al 50%, tranne nel 2015. Questo diverso comportamento è dovuto dal fatto che i prezzi della soia, tranne il minimo del 2015 appunto, sono stati mediamente superiori al prezzo di break-even (prezzo che copre i costi diretti e indiretti) di parecchie aree degli Stati Uniti.
Anche quì potete notare come quasi tutti i rialzi siano stati accompagnati dal rialzo della partecipazione dei commercial.
Un caso ancor più significativo è quello del frumento, vedi figura 7, quì la presenza degli operatori commerciali è passata dal 50-58% degli anni 2010-2012 al minimo del 28% del 2016. Il prezzo negli ultimi anni è sceso a livelli molto più bassi del prezzo di break-even, allontanando così gli agricoltori. Essi non avevano e non hanno alcun interesse a fissare prezzi prima del raccolto in perdita. I consumatori, in questo caso i mulini, non hanno interesse a fissare prezzi quando il prezzo del pronto è del 15- 25% inferiore rispetto a quello delle scadenze fino ad un’anno, vedi figura 8. Nel grafico sono riportatati i prezzi di tutti gli 11 contratti ora quotati a Chicago, tra il primo e il quinto, praticamente quello scadente nei 12 mesi successivi, la differenza è del 20%. Un mulino preferisce assumersi il rischio di un rialzo piuttosto che pagare questa maggioranzione.
Quindi anche per il fumento, quando mancano i commercial il mercato è in mano alla speculazione, i prezzi in questo caso difficilmente possono sostenere un rialzo duraturo.
Solo in due casi la speculazione ha dominato il mercato portando al rialzo il prezzo per un lungo periodo, tra il 1972-1973 e tra il 2007-2008. In questi due casi la speculazione uscì dal mercato azionario, ritenuto in quel momento troppo caro, e cercò redditività in quello delle materie prime agricole.
Prossimamente affronterò il diverso comportamento dei produttori rispetto a quello dei consumatori.