L’USDA, il Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti, nel mese di maggio di ciascun anno rilascia la stima dei costi di produzione delle diverse colture relative alla campagna dell’anno precedente, in questo caso quella del 2017.
La stima effettuata dal ministero copre il 93% delle aree dedicate al mais, comprese quelle a coltivazione biologica. Quelle escluse sono le aree marginali con strutture agricole troppo distanti dalla media.
L’appezzamento medio di produzione è di 108 ettari, circa 268 acri, questa media comprende il valore più alto di 220 ettari delle Grandi Pianure centrali fino ai 38 del Connecticut, vicino a New York. Queste dimensioni sono relative ad unità di terreno uniche e coltivate solo a mais.
La resa degli appezzamenti presi in considerazione per il 2017 è stata di 11,93 tonnellate/ettaro, rispetto alla media totale degli Stati Uniti di 10,90, questo valore medio comprende le 12,60 tons/ettaro delle Heartland (centro nord del paese) fino alle 9,40 della Florida. In larga parte si tratta di produzioni OGM.
Questi risultati sono ottenuti con terreni per l’89% irrigati, la restane parte è lasciata alla pioggia naturale.
Entrando nello specifico, i costi diretti in euro per ettaro, che di seguito vi propongo (fig.1), sono frutto di un cambio euro-dollaro pari a 1,19, media del periodo di coltivazione dell’anno scorso.
Di seguito vi darò alcune informazioni sui principali costi diretti.
Le sementi costano circa 205 € per ettaro, si tratta di genetica OGM che incorpora nel prezzo anche le royalties dei produttori.
I fertilizzanti ammontano a circa 240 € e sono frutto di una media che comprende sia aziende con produzione zootecnica, o vicino ad aziende di allevamento, sia quelle nelle quali l’apporto di concime è solo di natura chimica.
I fitofarmaci partecipano ai costi diretti con 74 €, anche le produzioni OGM necessitano di importanti trattamenti.
La maggior parte delle aziende opera con macchinari propri, il costo del combustibile per la loro operatività incide per 48 € ad ettaro, nella corrente campagna questo costo dovrebbe aumentare di circa il 40%, visto l’incremento del costo del gasolio.
La proprietà dei mezzi porta con sé i costi di riparazione e sostituzione, questa voce per l’anno 2017 ammontava a 60 €.
Il totale dei costi diretti raggiunge quasi i 700 €, questa è la somma che l’agricoltore ha dovuto finanziare, sempre che gli investimenti necessari in terreni e macchinari fossero già stati effettuati.
Veniamo ora ai principali costi indiretti le cui voci totali sono riportate nella figura 2.
Il sistema di analisi dell’USDA per il 2017 stima il costo figurativo dell’attività dell’agricoltore e della sua famiglia in 46 €/ettaro, è il corrispettivo delle ore necessarie alla conduzione delle aree seminate a mais.
L’ammortamento dei macchinari è la seconda voce più pesante sul complesso dei costi, infatti, i 252 €/ettaro è inferiore solo agli affitti. In Italia questo costo più quelli del carburante e delle riparazioni sono assorbiti dai servizi conto terzi, mediamente il costo italiano è di circa 2 volte la somma dei singoli costi americani.
La principale voce di costo è quella dell’affitto, in larga parte figurativo. Mediamente in Italia questo non viene preso in considerazione. Si tratta di un rendimento sul capitale investito in un bene alternativo e concorrente in termini di rischio. L’USDA per il 2017 ha calcolato una percentuale del 4% pari a 352 €. Tenete presente che il costo medio per ettaro di un terreno per coltivazioni intensive è pari a circa 10.000 $, al cambio attuale circa 8.500 €. Anche qui si va da un massimo di 19.000 $ per le aree a sud dei grandi laghi, dove l’attività agricola è prettamente dedicata alla produzione di latte, ai 6.000 $ dell’Oklahoma nel centro sud del paese (fig.3).
Il totale dei costi di produzione diretti e indiretti per l’anno 2017 arriva così a toccare i 1.422,4 € per ettaro, comprensivi anche dei costi figurativi.
Anche i ricavi hanno una forte variabilità dovuta principalmente alla resa, molto variegata come abbiamo visto, ma anche al prezzo di vendita influenzato dalla diversa logistica. Nel 2017 i prezzi sul campo variavano dai 2,98 $/bushel dei Grandi Altipiani del Montana, Wyoming, North Dakota e South Dakota, ai 4,13 $/bushel degli stati che si affacciano sul Golfo del Messico, principale area d’imbarco del mais per l’esportazione. La media dei prezzi al raccolto della campagna è stata di 3,29 $/bushel, pari a 107,8 €/tonnellata al cambio di 1,19. Naturalmente l’anno scorso solo una parte del mais è stata venduta al raccolto, la restante parte è stata stoccata nei magazzini in attesa di prezzi più remunerativi.
Comunque, al fine di capire la redditività, l’USDA ha ipotizzato una vendita in blocco proprio al raccolto.
Come potete vedere nella figura 4 il ricavo medio della vendita del mais sarebbe stato di 1.286,2 €/ettaro, a questo si possono aggiungere 4,3 €/ettaro per la vendita della massa vegetale residua. Il ricavo totale potrebbe essere stato di 1.290,5 €/ettaro.
Nella figura 5 questi ricavi sono confrontati con i costi totali, diretti ed indiretti, il risultato è una perdita di 131,9 €/ettaro, tuttavia, dobbiamo ricordare che tra i costi sono stati allocati 352 € di affitti figurativi, questo vuol dire che nella peggiore delle ipotesi l’agricoltore americano avrebbe visto riconosciuta solo una parte di questi costi, costi che in realtà non avrebbe dovuto pagare. In definitiva nel 2017 i terreni coltivati a mais hanno permesso un rendimento del capitale investito del 2,5% e redditività zero per il rischio imprenditoriale.
Per migliorare questa situazione l’agricoltore avrebbe avuto tre possibilità:
- sottoscrivere uno Swap Bancario a 4 $ per bushel nel luglio 17 per consegna novembre e vendere il mais al raccolto, in questo caso avrebbe incassato circa 240 € in più ad ettaro, arrivando così al profitto vero e proprio;
- acquistare una copertura assicurativa, sempre in luglio 17, al costo di 10 € tonnellata e vendere al raccolto, quest’operazione avrebbe permesso un incasso aggiuntivo di 230 € ad ettaro. In questo caso, diversamente dal caso precedente, avrebbe potuto beneficiare di eventuali ulteriori rialzi;
- attendere maggio 2018 e vendere al prezzo di Minneapolis a 3,60 $/bushel con un maggior incasso di 160 €, naturalmente in questo caso avrebbe dovuto sostenere i costi di magazzinaggio e di trasporto.
Conoscere i costi di produzione di una determinata materia prima è interessante sia per il coltivatore, permettendogli confronti costruttivi, sia per gli acquirenti, infatti, capire il livello del punto di pareggio permette di creare un punto fermo nella scala di valore tra il caro e l’economico. Inoltre, questo dato permette di individuare il livello di prezzo oltre il quale il produttore sarà interessato ad entrare in copertura.
Nel 2017 il punto di pareggio medio degli Stati Uniti fu di 3,61 $ per bushel, stiamo parlando di un prezzo al campo, il differenziale medio tra il fisico quotato a Minneapolis e il contratto frontale dei futures di Chicago è di 20 centesimi, il costo della logistica, quindi il prezzo dei futures sotto il quale i produttori non avrebbero avuto interesse a vendere fu di 3,81 $. Naturalmente stiamo parlando di un prezzo al raccolto del 2017, quest’anno sarà leggermente superiore per l’aumento dei costi di carburante. Tutto questo naturalmente a resa invariata.
Il giorno 24 maggio il contratto future di dicembre 18 ha quotato un massimo di 4,29 $, circa 48 centesimi in più rispetto al punto di pareggio del 2017. Questa possibilità di garantirsi un sicuro reddito rispetto al punto di pareggio ha spinto parecchi operatori a coprirsi, infatti, come potete vedere dal grafico della figura 6 nella settimana chiusasi il 29 maggio è stato raggiunto il massimo storico di 1.123.000 contratti aperti da questo gruppo di operatori ( il picco è negativo in quanto le operazioni di vendita a termine sono segnate dal sistema in questa forma). Il picco precedente, raggiunto nel 2011, fu di poco inferiore però con un prezzo del future a 7,50 $ per bushel.
L’apertura di contratti di copertura attraverso swap, assicurazioni e vendita di futures genera una forte richiesta di controparti rialziste, costituite dalla speculazione professionale (banche d’affari e Hedge Fund) che normalmente poi spinge i prezzi al rialzo. (vedi post del 3 ottobre scorso).
Il rialzo generato da questi operatori ha spinto il prezzo negli ultimi mesi dai 3,36 $/bushel del novembre scorso al picco del contratto di luglio di 4,12 $/bushel, un + 22%, poca cosa rispetto ai rialzi del 2011/2012. La speculazione non ha potuto spingere ulteriormente al rialzo il future a causa del prezzo del fisico, gli operatori che lo detenevano sfruttavano e sfruttano ogni rialzo per venderlo, questo non successe nel 2012 a causa dello scarso raccolto della campagna precedente e della siccità incombente.
Nel post del 24 novembre scorso avevo rilevato che a fronte di un massimo dei consumatori si era creato un minimo negativo della speculazione, in pratica questi ultimi operatori avevano raggiunto l’area dei massimi delle posizioni ribassiste, vedi figura 7.
In quel post rilevavo come il minimo della settimana precedente fosse contemporaneo ad un massimo delle posizioni aperte dai consumatori e di quelle negative della speculazione. Sempre nel post stimavo che quel minimo potesse essere qualificato come di medio termine e che potesse anticipare un rialzo del 15-20%, i fatti hanno realizzato questa stima, da quel minimo al massimo del 24 maggio si è realizzato un rialzo del 22%.
Ora, si è potenzialmente creata una situazione opposta, un massimo del prezzo è stato seguito da un massimo delle posizioni aperte dei produttori e da un massimo delle posizioni rialziste della speculazione, se l’estate non sarà colpita da eventi estremi, molto probabilmente il massimo di 4,12 $/bushel sarà qualificato come picco di medio termine.